di Filippo Capurso
Fonte: Corriere della sera
Quarto piano di via Templari, vista su piazza Sant’Oronzo, mezzogiorno livido e ventoso. Nelle stanze che hanno respirato la sua lunga e sfaccettata storia imprenditoriale, Giovanni Semeraro torna a parlare del Lecce. Le nuove strategie, il sogno dello stadio di proprietà («da costruire fuori dal territorio del Comune»), la porta spalancata ad eventuali acquirenti del club («a patto che gli assicurino un buon futuro»), il dispiacere per l’avversione reiterata di «certi tifosi», le prospettive e i limiti della squadra di De Canio: tra entusiasmi resistenti e striscianti segnali di cedimento, alla vigilia dell’anticipo con la Salernitana, il numero uno della società gioca a tutto campo con il pallone giallorosso.
Presidente Semeraro, le manca la serie A? «Molto, specialmente per lo strascico che comporta una retrocessione».
Strascico di che genere? «Di carattere psicologico. La ricaduta non è facile da metabolizzare».
Dalle sue parole, sembra proprio che la digestione non sia stata completata? «In effetti, dentro di me, c’è ancora amarezza. Una sensazione che nasce dalla consapevolezza, a posteriori, di aver interpretato la A in modo sbagliato. Abbiamo puntato sugli uomini di esperienza, è stato un errore. Il cambiamento di filosofia è la conseguenza di quell’errore».
Ossia? «Virata dritta sui giovani. Di valore, di qualità. E se avremo un giorno la fortuna di risalire nel massimo campionato, rivoluzioni bandite. Continueremo a tenere la barra dritta sui ragazzi. Perché i ragazzi, quelli bravi intendo, hanno fame di calcio e voglia di affermarsi».
Eppure il giovane Lecce, finora, è andato a corrente alternata. Se l’aspettava? «L’inizio è stato altalenante. E’ dipeso anche dal ritardo nell’assemblaggio dell’organico, dai condizionamenti del mercato. Poi abbiamo pagato lo scotto all’infortunio di giocatori importanti come Munari e Giuliatto. La squadra ha qualche difetto, non ha un’identità precisa, non è ancora un gruppo. Il mio auspicio è di non perdere troppo terreno dalle prime, affinché a gennaio si possano apportare i correttivi necessari e sull’inerzia raggiungere i play off».
De Canio alla Ferguson: sta funzionando? «Il rapporto con l’allenatore è improntato alla massima correttezza. Ogni lunedì il mister viene qui da me e, insieme, discutiamo dell’ultima partita e dei progetti sui quali stiamo lavorando, in particolare legati al settore giovanile».
Perché tutto filasse liscio, però, ha dovuto liberarsi di Angelozzi. «Alt, era una scelta preventivata».
Ne è sinceramente sicuro? «Finito il mercato, Angelozzi avrebbe detto stop con il Lecce. Una soluzione dettata dalla diversa impostazione impressa alla società, non da contrapposizioni con Guido che continuerà ad essere retribuito dal Lecce fino a quando non troverà una squadra. Ero esausto della dicotomia tra allenatore e direttore sportivo, dei problemi che nascevano quando un tecnico ics chiedeva un giocatore e il direttore sportivo ipsilon gliene ingaggiava un altro».
Ora, invece, qual è il meccanismo? «De Canio individua il giocatore da prendere e delega il management del Lecce, dal presidente all’amministratore delegato sino al dirigente di fiducia della società, all’acquisto. Se quel giocatore non può essere assoldato, l’allenatore indica l’alternativa».
Significa che il Lecce non avrà più un direttore sportivo nei ranghi? «Con Giovanni Semeraro presidente, mai più».
In chiave mercato, De Canio gestice anche il budget? «No, il budget è gestito dal sottoscritto e dall’amministratore delegato».
In verità: non s’è pentito di aver fatto firmare a De Canio un contratto di quattro anni? Se malauguratamente un domani volesse esonerarlo, non si sentirebbe frenato dalla prospettiva di pagare tanto e a lungo un disoccupato, oltre che il suo successore? «Spero, a prescindere, che quel giorno non arrivi. Se dovesse arrivare, pagherò sull’unghia senza recriminare».
Ha letto del suo braccio destro Fenucci? «Mi informi».
Da ambienti napoletani, l’ad del Lecce sarebbe vicino all’accordo con De Laurentiis? «Per esperienza, credo che nel calcio girino molte chiacchiere. Comunque, nel mondo degli affari, perdere un funzionario non mi ha mai creato problemi. Premettendo che ho grande stima dell’uomo Fenucci, morto un papa se ne fa un altro».
Al Via del Mare gli spettatori sono pochi e non tifano più. Il filo si è spezzato? «Lecce è sempre stata fredda nei confronti del Lecce. Ora siamo al gelo. Anche se mi dicono che quel silenzio assordante sia contro gli organi di controllo e non diretto ai giocatori. Però sono i giocatori che vanno in campo. E senza incitamento, senza calore, vincere è più complicato».
Dicono pure che sia un moto di contestazione verso la società? «Alle contestazioni siamo abituati. E sta bene pure che ci contestino i ragazzi della curva Nord. Non ci stanno bene i toni con i quali ci contesta la presunta parte 'nobile' del tifo. Ho sentito professionisti affermati dire che, con i soldi del Lecce, io e i miei figli ci saremmo comprati le barche. Roba da ridere, anzi da piangere. Il rammarico è smisurato. Per dodici anni su quindici, ho attinto alla cassa di famiglia per ripianare il debito della società. Sì, pure quando Corvino sosteneva di friggere i soldi con l’acqua e io, ogni stagione, ricapitalizzavo. Un deficit che in un aggettivo definirei vergognoso. Però adesso il gioco è terminato. Il Lecce, per amministrarsi, deve autofinanziarsi. Dalla cassa di famiglia non si attinge più. Con un pizzico di dolore, riconosco che la razionalità ha preso il sopravvento sulla passione».
E’ stanco. Che fa, molla al primo acquirente che si presenta? «Se piomba un russo o un americano, se avanza un compratore salentino o di qualsiasi parte del mondo in grado di garantire al Lecce prospettive valide, perché non vendere? In fondo io sto qui da tre lustri, la città è assuefatta a Semeraro, i miei figli operano fuori. Di fronte a interlocutori seri, passo la mano».
A che prezzo? «Il Lecce costa per quanto viene pagato».
Cosa faranno stasera i suoi ragazzi con la Salernitana? «Partita dura, spero di andare a dormire con tre punti in più sul cuscino».